Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Vivere la gioia

Fuori del Coro | n. 14-1996

L’incalzare delle polemiche arroventate di questa strana campagna elettorale ci ha condotto, quasi senza accorgercene, alle soglie della Pasqua, lasciando aperti inquietanti interrogativi sulle sorti future del Paese. Sembra proprio che non esistano più motivi per rallegrarci, eppure la provocazione della settimana Santa, anche per i non credenti, è forte: è l’annuncio che l’ignominia della morte in Croce di Gesù Cristo è la strada che conduce all’evento impensabile della Resurrezione.

La sorprendente e straordinaria notizia è quella ripetuta sin dai primi secoli cristiani: Cristo è risorto e in Lui tutta l’umanità è chiamata a risorgere. In molti si sono indaffarati a dire che questo è solo la trasposizione mitica del desiderio di immortalità che da sempre accompagna l’uomo, eppure duemila anni di storia non avrebbero avuto questo corso se il tempo non fosse stato attraversato dalla certezza che la morte è vinta per sempre, e che l’individualità dell’io personale permane nella sua specificità e non solo nella sua forma di vago principio spirituale. Se tutto questo è vero è impossibile non esultare, come dice il canto della veglia pasquale, l’exultet, potendo rileggere anche le vicissitudini quotidiane in una chiave diversa e più lieta.

“Dovrei vedere i cristiani molto più sorridenti per poter credere”, diceva Nietzsche, mentre tragicamente uccideva quel Dio che gli era nascosto ed ignoto ma di cui avrebbe voluto potersi fidare, e la questione era seria poiché l’uomo ha bisogno della gioia per poter vivere. Il mondo di oggi ci butta addosso delle gratificazioni, va in cerca di soddisfazioni fondate su parole e segni ad effetto, riesce forse ancora a provocare sensazioni ed emozioni forti e coinvolgenti; ma della gioia non vuol sentire parlare. Bisogna infatti aver ricevuto una grazia ben grande per essere gioiosi, mentre oggi tutto sembra essere solo l’esito di una misura prestabilita; per cui al massimo si può essere soddisfatti di aver ricevuto abbastanza o di aver acquisito il pattuito. Ma di essere nella gioia non si può dire, perché essa richiede l’imprevedibilità del gratuito e la sorpresa del non dovuto. Non si riesce a gioire più di tanto per ciò che già ci spetta: la gioia prorompe quando avviene qualcosa di così grande da superare ogni aspettativa, aprendo l’orizzonte di una bellezza assoluta.

Manchiamo di gioia dunque perché ci manca la bellezza, che S. Tommaso definiva “lo splendore del vero”; nel senso che l’assenza di gioia deriva ultimamente da una mancanza di verità cui ancorare la vita. Non si tratta infatti di coltivare un ottimismo sciocco, ma se mai di penetrare realisticamente nella profondità delle cose per riscoprirne il fascino, per ritrovare che la gioia vera si fonda sulla possibilità di attingere alle sorgenti dell’essere.

Non è un caso che i simboli della Pasqua siano tutti rivolti allo stupore della vita che rinasce: persino l’uovo, di cui forse non ricordiamo più il significato di genesi della vita, rimanda alla sorpresa dell’inizio. E più in profondità, l’acqua battesimale è la fonte della vita nuova, sgorgata dalla Croce, finalmente gloriosa e priva del corpo del Crocefisso, in cui si realizza il ritorno al destino originario di tutta la creazione.

Ritrovare la gioia è perciò questione di uno sguardo nuovo sulla realtà e dipende prima dalla saggezza del cuore che dalle circostanze; per questo bisogna saper guardare con l’occhio del bambino quanto accade intorno a noi, tornando nuovamente a stupirci: solo così la festa della Pasqua diventa festa di vita, memoria sicura del fatto splendido che rende possibile la perfetta letizia.