Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Vent’anni dopo il Papa

Fuori del Coro | n. 40-2004

Ricordare la salita del Papa al Sacro Monte a vent’anni di distanza non può essere solo un’operazione di facciata o di nostalgia: certo molti erano presenti in quel bel pomeriggio del 2 novembre 1984 lungo il viale delle Cappelle assiepato da migliaia di fedeli in preghiera, ed è commovente pensare ad un Papa giovane e vigoroso (benchè colpito dall’attentato del 1981, e nonostante ciò libero di salire a piedi incurante della sicurezza personale), ai primi anni di un pontificato che mostrava già la sua assoluta grandezza. È bello rivedere le foto di allora e rimembrare quel Rosario così intenso nel luogo così caro ai varesini, poiché il Papa viveva in prima persona il senso integrale del pellegrinare sospeso tra la fatica del salire, la bellezza della natura, la profondità teologica ed insieme popolare delle figure delle Cappelle, nella luce di un pomeriggio di novembre straordinariamente luminoso, immerso nella familiarità di un popolo che lì ritrovava la sua tradizione per poter affrontare un futuro che pareva carico di ottimismo.

Rileggere oggi quell’evento è prezioso per ridare energia alla storia di Varese, ma anche per comprendere qualcosa dell’ultimo pezzo di storia di cui siamo tutti responsabili, perché rispetto all’orizzonte ampio che il Papa aveva aperto con la sua stessa presenza e con la sua parola molto è andato smarrito, soprattutto in termini di progettazione e di speranza della vita personale e collettiva.

Risuona perciò oggi profetica la frase centrale che il Papa disse dal balcone del Mosè mentre scendeva la sera: “Eliminando la speranza cristiana, si cade fatalmente nella confusione e nella contraddizione, perché si cerca il senso della vita in modi diversi e contrastanti; non volendo accogliere la luce di Cristo, molti si condannano a camminare nel buio delle tenebre”. Gli ultimi anni hanno proprio visto il crescere della confusione, dell’incertezza, della solitudine, delle contraddizioni personali e sociali, della disgregazione del tessuto umano e culturale, aprendo lo spazio a quella subdola disperazione che è il frutto più amaro del nichilismo. Forse persino il Sacro Monte, di cui si celebra il quattrocentesimo anniversario di fondazione, rischia di veder sbiadita la sua identità di luogo che ospita il Mistero della Madonna, per risultare solo come monumento artistico e paesaggistico, al massimo come frammento storico di un passato che non dice più nulla alla coscienza dell’uomo privo della speranza cristiana. Il Papa ha invece voluto fare qui il più lungo percorso a piedi dell’intero pontificato per ridire il senso vero della vita dell’uomo in cammino, indicando l’immagine della Madonna come Colei che “guarda in alto” stando dentro il tempo, come ha fatto Gesù che viveva il suo rapporto con il Padre seguendo l’umanità di sua Madre.

Perciò occorre guardare il Sacro Monte con lo sguardo che il Papa ha consegnato ai varesini di allora perché lo trasmettessero a quelli di oggi, come il luogo di una devozione a Maria “che esprima i nostri sentimenti più pii, più puri, più umani, più personali, più confidenti per far risplendere alto sul mondo l’esempio attraente della perfezione umana”. Per questo sarebbe riduttivo pensare al Sacro Monte solo come a un luogo in cui l’anima si riconcilia con la natura, con la storia o con il bello, perché la sua vera vocazione è di ricordare la concreta familiarità con la Madre di tutti, che è tale perché “figlia del suo figlio”, per dirla con Dante. Perciò rievocare l’anniversario della salita del Papa coincide con il ritrovare la Verità per cui i nostri padri hanno trasformato il paesaggio della montagna nella via del Rosario, affinchè il mistero dell’Incarnazione fosse reso presente a tutte le generazioni.