Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Testimoni della speranza

Fuori del Coro | n. 39-2006

Si chiude un anno travagliato per tutti, sia per le famiglie preoccupate per il futuro che per il mondo sempre più minacciato dalla paura delle guerre, e risulta difficile fare il tradizionale bilancio di fine anno senza marcare il senso di un’assenza, la percezione della mancanza di qualcosa di sostanziale, il sentimento di un profondo smarrimento. D’altra parte l’incertezza sul futuro nasce dalla paura del presente, dalla consapevolezza che l’uomo, pur avendo varcato con il progresso tecnologico tutti i limiti ritenuti invalicabili e pur credendosi il creatore indiscusso ed unico delle proprie sorti, in realtà si dimostra fragile ed inconsistente se rimane senza nessuno che lo possa salvare dall’insuperabile condizione di finitezza e di morte in cui vive. Lo ha detto il Papa nel messaggio natalizio Urbi et orbi, quando con grande semplicità ha ricordato che, nonostante l’uomo si presenti come “sicuro ed autosufficiente artefice del proprio destino, fabbricatore entusiasta di indiscussi successi”, “si muore ancora” e l’io risulta fragile nelle relazioni ed incapace di assumersi responsabilità stabili. Perciò, interpretando la condizione umana di oggi (e di sempre!), il Papa conclude che proprio da questa umanità “gaudente e disperata” si leva un’invocazione straziante di aiuto che ha il senso della domanda che Qualcuno ci salvi.

Così l’antica domanda di salvezza che si eleva da sempre dal cuore della sofferenza (quella cui la religione ha sempre risposto con la presenza del Salvatore, nonostante Marx la ritenesse un’oppiacea illusione per sfuggire la crudezza della realtà, quella domanda risuona sempre nel cuore dell’uomo come l’unica decisiva questione dell’esistenza. E rinasce oggi al termine di questo difficile 2006 come interrogativo dinanzi alla morte di Welby, alle stragi nel mondo, alle incertezze di un’economia che ristagna, alle fragilità di cui ciascuno potrebbe documentare i segni quotidiani. Il bisogno di salvezza, che un “nichilismo gaio ed incosciente” aveva cancellato persino dal vocabolario quotidiano oltre che dall’esperienza normale, si ripropone irrefrenabilmente come il “cuore” della condizione umana, smentendo quell’autosufficienza che convincerebbe di poter fare a meno di tutti.

Chi ci salverà? Non certo il potere di turno, non il denaro, non la semplice ambizione di riuscire; ma neppure la scienza, l’ideologia, le programmazioni, le pianificazioni o i progetti dei cosiddetti esperti; e nemmeno la globalizzazione, il controllo delle risorse, la razionalità tecnologica. Ciò che chiede di essere salvato è il “cuore” dell’uomo, il luogo in cui si decide del bene e del male, cuore che non è salvato da un’idea, ma solo dall’accadere di un nuovo Amore che attiri a sé tutta l’intelligenza e la volontà: questo è quello che accade nel Natale del Dio fatto uomo per condividere ogni frammento dell’umano e salvarlo. Ricordiamo però che salvezza non coincide con un buonismo generico e dolciastro o con la solidarietà di un giorno, ma si identifica con l’esperienza dell’essere cambiati dall’incontro con il Dio-bambino attraverso il sorgere di una diversa e nuova capacità di giudizio. Infatti, l’esperienza dell’essere salvati è uno sguardo diverso con cui accostare tutto, come accadrebbe ad un naufrago che, stando per affogare, ricevesse l’aiuto di una corda cui aggrapparsi per raggiungere la terraferma: questa esperienza gli farebbe vedere tutto con occhio diverso. O come uno che, giunto molto vicino alla morte, si risvegliasse dal coma, guardando anche le cose più banali come se fosse la prima volta che apre gli occhi. E proprio di questo stupore per l’essere salvati abbiamo bisogno al termine di un anno che muore.

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