Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Quel lontano ’68

Fuori del Coro | n. 46-1997

Nella notte tra il 17 e il 18 novembre 1967 gli studenti della Cattolica di Milano occupavano l’Università, seguiti il 27 novembre dai loro compagni di Torino con l’occupazione di Palazzo Campana, sede della facoltà umanistiche: era l’inizio del ’68. A trent’anni di distanza quei fatti sembrano lontani ricordi nostalgici di chi li ha vissuti, oppure evocano il fastidio di chi scorge in essi solo l’avvio di un fenomeno eversivo dagli esiti nefasti. Sul ’68 si è detto e scritto molto, ma è ancora prematuro il tempo di una valutazione storica serena ed equilibrata, libera da suggestioni autobiografiche, perché la mitizzazione del suo carattere epocale rende difficile il distacco critico: in trent’anni il mondo è cambiato più velocemente che nel trentennio dei due conflitti mondiali, la società ha subito rivoluzioni nel costume più significative di quelle avvenute nella prima metà del secolo, addirittura si può dire che sia avvenuta dal ’68 ad oggi quella “mutazione antropologica” di cui parlava Pasolini agli inizi degli anni ’70.

Ma cosa è stato veramente il ’68? Difficile dirlo, anche perché il fenomeno si è trasformato strada facendo: dall’iniziale esigenza degli studenti universitari di riappropriarsi del loro studio chiedendo una diversa organizzazione degli atenei ed un diverso rapporto con i loro insegnanti, si è passati alla richiesta di trasformazione di tutta la realtà attraverso la “contestazione globale del sistema” come soluzione di tutte le contraddizioni della società.

Come ben si intuisce, ma lasciando agli storici di valutare globalmente il fenomeno, il ’68 nasce originariamente dal desiderio dei giovani di diventare i protagonisti della loro avventura esistenziale uscendo dagli schemi stantii della cultura conformista della società dei consumi, in una tensione quasi religiosa verso ideali grandi e in un’inesauribile passione per l’uomo e per il suo desiderio di liberazione dai legami materiali (e in ciò molti cattolici videro una realizzazione dello spirito del Concilio). Ma ben presto emerge il limite di una radicale debolezza culturale: partito da una genuina esigenza di verità e libertà, il ’68 lascia spazio all’utopia e all’ideologia.

Dimenticando il realismo, ossia l’attenzione alla realtà nella totalità dei suoi fattori concreti, il movimento studentesco iniziò a dare spazio all’utopia, alla ricerca di un “luogo che non c’è”, alla proiezione pura e semplice di un sistema di idee in cui l’immaginazione della società perfetta sostituiva la concretezza delle contraddizioni reali. Perciò divenne inevitabilmente violento, innanzitutto perché rifiutava il passato e distruggeva la tradizione da cui quegli stessi studenti provenivano, e in secondo luogo perché attribuì a qualche leader il diritto di parlare per tutti e di imporre verità affermate come indiscutibili attraverso il sistema assemblare, togliendo proprio quella libertà in nome della quale aveva iniziato la contestazione. L’originale desiderio di cambiamento si trasformò dunque nella pretesa di imporre uno schema culturale a senso unico, al di fuori del quale si era inevitabilmente conservatori, servi del potere, fascisti a quanto di peggio si potesse dire. Dal rifiuto dell’autorità alla negazione di Dio, dalla libertà sessuale all’esproprio proletario, tutto divenne lecito in nome dell’idea della rivoluzione, anche se la realtà andava da un’altra parte.

Oggi la situazione è molto diversa: la sinistra non è più rivoluzionaria e barricadera ma è legalista e governativa; gli studenti fanno scioperi contro la scuola privata e non si occupano più del cambiamento globale del mondo; la cultura vive una stagione di grigiore conformista. Così è finito il sogno del ’68, e i giovani di allora guardano delusi al presente, sentendosi un po’ traditi!