Quattro passi nell’aldilà
Fuori del Coro | n. 12-1996
Al Salone del Libro religioso, svoltosi a Milano la settimana scorsa, sono stati presentati i risultati di un sondaggio promosso dal quotidiano Avvenire e dal Premio Grinzane Cavour dedicato alla percezione dell’Aldilà nell’immaginario collettivo, con particolare riferimento al mondo giovanile. L’argomento è interessante perché non riguarda solo l’affronto del tema della morte, ma implica una riflessione sul senso stesso della vita, dal momento che l’uomo ha sempre posto la domanda sull’Aldilà collegandola al giudizio su come si è vissuto e alla questione della salvezza o della dannazione.
Pur nella parzialità del campione scelto e con tutte le cautele necessarie a leggere correttamente gli esiti di un questionario, è interessante rilevare i risultati più significativi: il 44,69% degli intervistati immagina l’Aldilà come un luogo in cui si percepirà comunque la misericordia divina, il 38,43% un luogo in cui si ritroveranno le persone care, il 20,06% un luogo ove si espiano le colpe e si ottengono premi per i meriti, mentre solo il 3,19% non crede nell’aldilà e l’1,34% non riesce ad immaginarselo.
Per un mondo secolarizzato che tende ad espungere la dimensione religiosa, non c’è male! È sorprendente che soprattutto i giovani mostrano di nutrire più speranze ed aspettative sulla vita futura che non paure o angosce; non solo, ma l’accento è posto più sulla necessità che nell’aldilà si possa finalmente vivere tutto quello che manca nella vita presente (il desiderio pare essere soprattutto quello di ricomporre gli affetti e di vivere senza quelle tensioni che si sperimentano quotidianamente, alla ricerca di una misericordia che ricongiunga positivamente a Dio), piuttosto che sulla paura del nulla o dell’assurdo dopo la morte (tanto spesso teorizzato nelle filosofie alla moda del nichilismo contemporaneo). Colpisce pure che il desiderio dei giovani di fare un viaggio nell’aldilà vedrebbe come accompagnatori ideali i genitori o un amico, mentre Dante è segnalato ancora come l’autore che più ha contribuito alla formazione di un’immagine dell’oltretomba.
Dunque la società tecnologica non ha distrutto l’idea del Paradiso e la televisione non ha ancora sostituito nell’immaginario collettivo giovanile una visione dell’aldilà, appresa soprattutto dalla Chiesa e dalla famiglia. Segno di un ritorno religioso ai “Novissimi”? Forse, ma molto più mi pare domanda di senso sul presente e necessità di pensare ad un luogo in cui le contraddizioni dell’oggi trovino una loro pacifica composizione: in qualche risposta libera del questionario alcuni hanno descritto suggestivamente l’aldilà come “luogo dove tutto sarà al massimo”, “luogo dove si troverà ciò che si cerca”, “luogo presente ovunque e da nessuna parte”. Sono espressioni che manifestano un desiderio di felicità, ma che forse tradiscono una radicale distanza dalla vita concreta, quando non addirittura una sorta di fuga dal presente.
Siamo dunque lontani dalla concezione cristiana della vita eterna: in queste risposte sembra scomparso il legame tra “il centuplo quaggiù e la vita eterna” di cui parla il Vangelo. Non trova risposta l’interrogativo se in questa vita sia possibile sperimentare una pienezza dell’umano che sia caparra di un mondo ulteriore di beatitudine capace di sfondare i limiti del tempo e dello spazio. Il vero Paradiso deve incominciare qui, nella vittoria sulla noia e sul non senso quotidiani, altrimenti scompare la grande nozione cristiana di merito che pone il valore di ogni azione nel superamento dell’istante e nel suo essere in rapporto con l’eternità. Per questo fa riflettere la risposta data da un ragazzo: “l’aldilà è dove si amerà Dio come si voleva, si doveva e non si è riuscito”