L’avventura della conoscenza
Fuori del Coro | n. 37-2000
Inizia un nuovo anno scolastico ricco di problemi, primo tra tutti quello degli stipendi degli insegnanti, davvero troppo miseri in relazione alla loro responsabilità nei confronti della collettività (è, infatti, chiaro che gli investimenti nella scuola sono l’indice di quanto un servizio sia ritenuto strategico per il complessivo sviluppo di una società). È l’anno dell’autonomia, dei nuovi cicli scolastici, di nuovi assetti dei programmi e di cambiamenti sempre più radicali nella didattica; anche se forse è ancora scarsa l’attenzione alle vere domande degli scolari, che alla scuola non cessano di chiedere che sia un momento importante della loro crescita.
Nella scuola delle competenze, delle verifiche curricolari, delle programmazioni didattiche, delle griglie di valutazione, degli obiettivi disciplinari o trasversali, c’è ancora posto per le domande di senso dello studente? C’è l’opportunità di vivere un’esperienza degna di essere ricordata? Tra le tante incombenze che si assegnano alla scuola, c’è ancora attenzione per quel personale itinerario personale che è l’avventura della conoscenza?
Sembra paradossale porre queste domande: la scuola dovrebbe essere fatta proprio per introdurre alla conoscenza della realtà nei suoi vari aspetti (secondo la partizione delle classiche materie), ma spesso sfugge proprio al suo compito di trasmettere il gusto del conoscere in quanto tale; tanto che nella pedagogia degli ultimi anni lo spazio delle conoscenze in senso stretto si è ridotto a favore del discorso sulle competenze e sulle capacità. Per i non addetti ai lavori: oggi si bada più a far crescere talune abilità (il saper fare delle operazioni mentali o pratiche, ad esempio), piuttosto che offrire allo scolaro dei contenuti conoscitivi specifici (la storia, le leggi naturali, la configurazione del territorio, e quant’altro) relativi ai singoli ambiti della realtà. Mettendo in secondo piano i contenuti, aumenta solo l’ignoranza, con l’esito che si tende a spegnere l’avventura della conoscenza sul suo nascere, sostituendola con delle tecniche che potrebbero essere applicate a tutto, ma che in realtà rimangono solo aridi strumenti logici, con il risultato che si continua a conoscere solo ciò che già si conosceva, rimanendo all’oscuro del resto.
Ma l’uomo è fatto per aprirsi al tutto, per esplorare le regioni dell’essere che gli sono proposte dall’esperienza, per organizzare un sapere unitario. L’io non può accontentarsi di orizzonti limitati, non è soddisfatto di conoscenze approssimative, non accetta di porre dei limiti alla sua curiosità, rimanendo nell’incertezza del non conoscere: ogni oggetto reale gli sta innanzi come una sfida e una provocazione. Perciò un ragazzo intelligente vuole imparare sempre nuove cose spalancando il suo orizzonte a 360 gradi per comprendere tutto. La specializzazione e la settorialità verranno in seguito, quando le esigenze di lavoro lo imporranno, ma finché è a scuola ha sete di percorrere tutte le vie dei singoli saperi.
Il rischio è invece che sia proprio la scuola a spegnere questo desiderio, imponendo solo delle metodologie o proponendo contenuti così avulsi dalla realtà, da sviare la naturale attenzione al nuovo di cui sono intessuti gli sguardi dell’intelligenza. La sfida della conoscenza inizia invece con la voglia di capire cosa è una cosa e come essa si connette al Tutto, ed questo che lo scolaro chiede alla scuola, senza esagerare in un pedante nozionismo ma senza rinunciare ad una sistematica organizzazione dei contenuti; perché l’avvenimento della conoscenza è fatto proprio di curiosità e di ordine, di analisi e di sintesi, di particolare e di universale.
A tutti l’augurio che possa iniziare una nuova tappa dell’itinerario della conoscenza.