Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Il senso della tradizione

Fuori del Coro | n. 19-1996

I festeggiamenti per l’annuale festa patronale di S. Vittore hanno messo in luce quest’anno una novità: la presenza di molti giovani ai momenti celebrativi della festa della bosinità. La solenne liturgia in Basilica con l’incendio del globo, la consegna della Girometta d’Oro, il neonato Palio bosino sono dunque momenti non solo di un amarcord nostalgico dei varesini più anziani, ma sono anche per le giovani generazioni il segno di genuina tradizione di una città che fa memoria di se stessa.

Normalmente si pensa che le tradizioni siano cose da vecchi, radicate solo nel ricordo sentimentale di un passato immobile; eppure non è così, se anche i giovani si mostrano sensibili a ciò che ha il sapore del passato fedelmente riproposto. Ma che cosa è veramente la tradizione? Non si riduce certamente ad un insieme di gesti ripetuti, ma è l’esperienza profonda della trasmissione, di generazione in generazione, del sentimento della vita che si lascia in eredità a chi verrà dopo di noi. È la “consegna” ad altri di ciò che è stato importante per noi stessi, nella certezza di poter vincere la sfida del tempo. Si tramanda ciò che è essenziale, non quanto è accessorio; si offre al futuro quello che si spera trapassi il gusto dell’istante rimanendo vivo nel tempo. Nessuno può vivere senza tradizione, perché si troverebbe privo di radici, sospeso nel vuoto e nel nulla, senza prospettiva di vera costruttività.

Per questo il giovane, un istante dopo aver affermato la sua autonomia e il suo rifiuto del passato, comprende che la sua energia può radicarsi solo nell’appartenenza ad un destino buono che ha radici lontane e che si manifesta proprio nei segni della tradizione. Tale tradizione passa attraverso dei gesti simbolici che si ripetono, significando valori che nello scorrere degli anni creano una mentalità, consolidano una consuetudine, alimentano una percezione della vita radicata nell’esperienza di chi ci ha preceduto. Così dalla curiosità per il gesto dei propri padri inizia l’assimilazione di un senso della vita che altri hanno sperimentato e che giunge sino al presente. Da qui nasce il fascino delle singole tradizioni: il dialetto, i modi di dire, i rituali popolari, le feste liturgiche o profane. Tutto questo svela che ogni atteggiamento di vita ha un’origine, che la cultura non è un’immaginazione inventata nell’istante, che la profondità dell’io si radica in una storia, aprendo così una dimensione più vera di quella contenuta nell’immediatezza dell’attimo trascorso. Il giovane sente l’attrattiva del futuro, ma intuisce che si potrà sviluppare solo in una speranza nata nel passato, nel compimento di una promessa che viene da lontano.

Per questo la tradizione non è il luogo della nostalgia, ma quello della memoria. E la memoria è la dimensione della coscienza che fa percepire la continuità del proprio io nello svolgersi delle circostanze, e più ancora che permette di riconoscere la permanenza dello scopo per cui si vive. Tremenda è la perdita della memoria di sé, ma non meno drammatico è lo smarrimento del senso di appartenenza al proprio popolo. L’omologazione culturale e morale, la perdita del senso di identità, un universalismo basato su valori generici sono tutti sintomi di una civiltà che non è più in grado di riconoscere la continuità di appartenenza ad una storia buona.

I giovani oggi si accostano curiosi alle certezze dei loro padri, chiedono di verificarle, cercano punti solidi su cui fondare la loro sfida all’effimero: si domandano forse perché alcune tradizioni si ripetono ogni anno senza interruzioni, ed intanto si preparano a ricevere da protagonisti il testimone di chi li ha preceduti.

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