Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Il fascino dell’inizio

Fuori del Coro | n. 01-1995

L’inizio di un nuovo anno conserva da sempre un fascino tutto particolare: siamo di fronte alle pagine ancora bianche di un libro tutto da scrivere, sia sul piano dell’esistenza personale che su quello delle vicende della storia. Il cuore è pieno di aspettative, di desiderio di novità e di cambiamento, di speranza in una condizione umana migliore. C’è chi si affida ai maghi e ai cartomanti alla ricerca dell’influsso che gli astri eserciteranno nella vita; chi cerca di indovinare la direzione dei trend economici, sociali e politici; e forse, più seriamente, chi cerca nello spazio della memoria storica qualche indicazione per costruire il futuro, come ricordavo nella scorsa riflessione. Comunque sia, l’inizio dell’anno ha il sapore sempre affascinante di una nascita: è nato un anno nuovo, si dice, e questo ci rimanda, anche solo inconsciamente, all’origine di quel mistero da cui scaturisce la vita.

C’è un che di materno in ogni alba dell’anno nuovo che accompagna i primi giorni di gennaio; è il ricordo di un grembo da cui tutto può scaturire, in quello straordinario gioco della libertà che si desta alla vita in risposta alla gratuità degli eventi che si presentano all’io. Nessuno sa che cosa gli porteranno questi dodici mesi, eppure tutto è possibile e la speranza sembra essere il sentimento dominante di fronte all’ignoto, poiché l’inizio è privo di pregiudizi, non è gravato dal carico del già saputo e già detto. Proprio come il bimbo che si aspetta tutto dal suo ingresso nell’esistenza, così ciascuno gusta il sapore della novità proprio in questi primi giorni di gennaio, celebrando le liturgie tradizionali del passaggio del tempo: dal tradizionale ed inossidabile concerto di Vienna, al pranzo con zampone e lenticchie, dal desiderio di spazzare via le malattie con una scopa, alla nostalgia di pace evocata dalle celebrazioni della Chiesa. Non è un caso che Paolo VI, dal 1° gennaio del 1968, abbia voluto istituire la Giornata Mondiale della pace proprio all’inizio di ogni anno, nell’ottava del Natale, per meglio indicare quanto la pace possa radicarsi solo nel mistero della nascita di Cristo, vera radice dell’unità tra gli uomini.

Quest’anno, suggestivamente, Giovanni Paolo II ha scelto come tema per la Giornata Mondiale della Pace quello della responsabilità della donna nell’educare alla pace, continuando una sua particolare intuizione del valore del “genio femminile” ai fini dell’armonica convivenza umana. Se è vero che la pacifica convivenza tra gli uomini si può costruire solo sul rispetto dei diritti nativi e dei doveri che scaturiscono direttamente dalla natura umana, ossia sul riconoscimento pieno dell’essere persona, allora il Papa va alla radice stessa della generazione dell’umano: il mistero della comunione nella coppia maschio-femmina, fondata sulla reciprocità e complementarità, in cui la donna svolge un suo peculiare ruolo. Il Papa è infatti convinto che alla donna “Dio affidi in modo speciale l’uomo, l’essere umano”, e non solo nell’atto generativo in senso stretto, ma soprattutto nell’opera educativa, in cui meglio si esprime il “genio femminile”. Per questo la donna ha un compito primario nella costruzione della pace dentro le contraddizioni della storia (si pensi all’esempio di Madre Teresa o alle eroiche madri bosniache); ma soprattutto Giovanni Paolo II affida l’inizio della pace alla figura della madre (di cui egli fu peraltro privato in tenerissima età), il cui compito è di offrire al figlio “quel senso di sicurezza e di fiducia senza il quale gli sarebbe difficile sviluppare correttamente la propria identità personale e, successivamente, stabilire relazioni positive e feconde con gli altri”.

La pace comincia dunque dall’inizio, da questa originaria relazione madre-figlio, dal senso di una maternità che per il Papa ha sempre una dimensione assolutamente religiosa, poiché la presenza della madre, quando è vissuta nella sua profondità originaria, “permette di orientare a Dio la mente e il cuore del bambino molto prima che inizi una formale educazione religiosa”.