Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

I tempi della guerra

Fuori del Coro | n. 12-2003

“Al tempo di guerra…”: così iniziavano i racconti dei nostri vecchi quando evocavano le tragedie dei due conflitti mondiali, a sottolineare la durata di un tempo segnato dall’angoscia e dal prolungato stato d’emergenza. Oggi sperimentiamo la fine dell’illusione di una guerra rapida (ma sono mai esistite le “guerre-lampo”?) e l’inizio di un tempo la cui durata sarà assolutamente decisiva per il destino del conflitto e per le sorti dell’intera umanità.

Il tempo non è un fattore ineluttabile della vicenda umana, ma è il luogo dello svolgersi della libertà e della responsabilità, anche se non sempre le circostanze possono essere governate; anzi, spesso sono proprio gli imprevisti a segnarne lo scorrere inesorabile, mandando all’aria anche i progetti più accurati e sicuri. L’idea di giungere presto a disarmare il regime di Saddam sta svanendo con il trascorrere dei giorni, e c’è già chi si augura un conflitto lungo che conduca l’America alla sconfitta, desiderando che sia il passare del tempo a punire l’errore di questo conflitto.

Così il pacifismo di chi voleva impedire la guerra si trasforma nel bellicismo di chi la vorrebbe sempre più insanguinata e tragicamente impantanata nel logorio della guerra di posizione. Pur di sostenere il loro antiamericanismo, costoro sembrano preferire tante vittime ancora; pur di mostrare l’illegittimità di questo conflitto auspicano persino la sconfitta morale dell’Occidente, accusando di cinismo chi vorrebbe “chiudere in fretta”! Per questi sostenitori della “guerra lunga” il tempo diventerebbe il vero giustiziere della Storia (quasi in un supponente “ve l’avevamo detto”), senza accorgersi dell’assurdità di tale ragionamento. Infatti, ora che la guerra è scoppiata, l’unica cosa da sperare è che faccia il minor numero di vittime e di danni possibile; nel senso che quanto prima cesseranno i combattimenti, tanto più facile sarà ristabilire una tregua e predisporre le condizioni effettive per la riappacificazione.

Si dice che il tempo lenisce i dolori e facilita l’oblio del male ricevuto, ed è per questo che il prolungarsi della guerra non fa che aumentare il risentimento dei popoli del Medio Oriente, attizzando il desiderio di vendetta dell’Islam verso l’Occidente, come ha ricordato anche il Nunzio Apostolico a Bagdad, affermando che sarà più difficile ritrovare una pacifica convivenza nel popolo iracheno, anche se il dopo Saddam fosse segnato da un regime democratico. D’altro canto, il peso dell’odio aumenta ogni giorno, e non è realisticamente pensabile che la guerra finisca senza un vincitore ed un vinto: proprio per questo solo la rapidità dei tempi può consentire “a bocce ferme” di trovare la strada per arginare successivi conflitti.

Perciò appare irresponsabile guardare al conflitto (magari con il conclamato proposito di fermarlo), con l’atteggiamento del “tanto peggio, tanto meglio” purchè l’America finisca a pagare il prezzo più alto possibile per la sua scelta belligerante.

Occorre ribaltare l’ottica: la pace è sempre legata al realismo di un giudizio netto sull’illiceità dell’uso della forza, ma si esprime contemporaneamente nel lavorare per “contenere i danni” e preparare il “dopo” da veri “costruttori di pace”. Perciò bisogna educarsi alla pace, non solo facendo cortei, ma mettendosi in discussione e sapendo anche perdere qualcosa dei propri pregiudizi. In questo frangente, educazione alla pace significa progettare opere di ricostruzione, immaginare momenti di ripresa paziente del dialogo tra le culture, facilitare l’incontro tra le religioni, che sono il collante più efficace della concordia tra gli uomini per il loro richiamo alla dipendenza di tutti dal Mistero di Dio. Che il tempo serva a questo, non a consolidare gli steccati dell’inimicizia.