Diritto e matrimonio
Fuori del Coro | n. 12-2005
Se è vero che la civiltà di un popolo si misura dalle sue formule giuridiche, non può passare sotto silenzio né lasciare indifferenti la scelta del governo spagnolo di legittimare i matrimoni tra persone dello stesso sesso. Non si tratta, ovviamente, di mettere in questione la pari dignità delle persone, né tanto meno di dare una valutazione moralistica per “confessionalizzare” l’unione coniugale in chiave cattolica; ma semmai di comprendere la natura specifica dell’istituto matrimoniale e valutare quali conseguenze arrechi sul piano giuridico il riconoscimento delle coppie omosessuali.
Anzitutto è bene distinguere il piano etico da quello giuridico: ci sono ragioni etico-antropologiche che pongono nella differenza sessuale la radice del patto coniugale e che ritengono l’unione omosessuale contraria alle finalità naturali del matrimonio, ma su questo occorrerebbe aprire un dibattito valoriale che vada oltre la tendenza nichilista di omologare ogni scelta in nome di singoli interessi. Si vuole qui cercare di comprendere, invece, se sia lecito attribuire diritti e doveri del matrimonio ad un tipo di unione che ha caratteristiche diverse da quelle della coniugalità eterosessuale. La questione non è evidentemente nominalistica, ma di sostanza e riguarda un punto non sufficientemente evidenziato dai giornali, che si può sintetizzare nel rapporto tra matrimonio e patrimonio nel legame tra due persone.
Il matrimonio è il riconoscimento, insieme giuridico e morale, della “funzione materna” (secondo l’accezione latina è il “matris munus”, il compito della madre), all’interno dell’unità con l’uomo con cui si decide di condividere la capacità generativa, facendone il fattore specifico del patto coniugale cioè di un “coniugio” (il giogo portato insieme) che definisce l’amore fecondo degli sposi. Con il matrimonio si sconfigge l’idea della donna sottomessa al potere e alla volontà del marito, perché se ne valorizza il compito proprio della generazione di quei figli cui si lascia un patrimonio, che stando all’accezione latina è il “patris munus”, cioè il compito del padre, chiamato a produrre e custodire tutti gli altri beni della comunione familiare. Infatti, il matrimonio, radicato nell’unità generativa e feconda della coppia, fonda in virtù di questa sua natura i legami patrimoniali di tipo economico che si realizzano nella condivisione familiare dei beni e nell’esercizio di diritti ereditari privilegiati. La famiglia tradizionale viene così riconosciuta, anche giuridicamente, perché tutela il Frutto del rapporto eterosessuale, stabilendo quel legame preferenziale (anche sotto il profilo patrimoniale) generato dalla dialettica unità/differenza tra uomo e donna.
Nella coppia omosessuale, senza voler entrare nel merito dell’intensità affettiva che in essa può essere vissuta, si realizza invece un’identicità di sessi cui corrisponde un’identicità dei ruoli e delle funzioni, che rende impossibile generare e che pone obiettivamente un legame diverso da quello sponsale/genitoriale. Ciò non significa misconoscere l’intensità del rapporto, ma semmai identificarne la differenza specifica, che non ammette confusione con l’istituto matrimoniale, differenza che se consente rapporti affettivi e patrimoniali non rende possibili rapporti matrimoniali/generativi. E qui sta il nodo cruciale: se l’equiparazione vuole essere di natura economica, onde favorire passaggi ereditari di diritto, non può però confondersi con quella dettata dall’istituzione familiare i cui vincoli sono anche intergenerazionali. Meglio sarebbe allora non parlare di “nozze gay”, ma di una forma di unione con patti economici che garantisca la messa in comune di beni tra partners, senza pretendere l’omologazione con il modello matrimoniale.