Gp Cottini

Questo sito intende presentare la personalità e le opere del filosofo Giampaolo Cottini, a partire da una selezione ragionata di articoli curati per il quotidiano “La Prealpina“.

Costruttori di pace

Fuori del Coro | n. 06-2003

L’invasione di milioni di manifestanti per la pace nelle piazze di tutto il mondo è il segnale del sorgere di un nuovo popolo? La no war generation è veramente un fatto epocale di civiltà? Esiste davvero un nuovo “soggetto pacifico” (o meglio pacifista) che può cambiare le sorti del mondo, sfidando le grandi potenze e gli interessi dei colossi dell’economia? Difficile rispondere, perché se sarebbe riduttivo attribuire la sorgente di questi fenomeni di massa alla sola paura della catastrofe bellica, altrettanto si deve rilevare che le matrici ideali di questo movimento non sono affatto univoche. I cortei pacifisti possono insieme nascondere l’unilateralismo ideologico di condanne a senso unico, la semplice voglia di aggregarsi in massa per sfuggire l’anonimato, un astio verso i governanti, la sfiducia verso le istituzioni internazionali, la pretesa di affermare le proprie opinioni, la coscienza sincera di chi vede nella pace il bene supremo; ma è veramente difficile distinguere in mondi e sentimenti così differenti il volto di un unico soggetto. Merita, invece, di capire quale immagine di pace esiste nella coscienza della gente.

Anzitutto la pace non è un’assenza di guerra o un’impossibile sospensione di conflitti, ma piuttosto la ricerca instancabile delle ragioni possibili per superare gli ostacoli all’intesa tra i popoli. È infatti menzognero ed irrealistico un pacifismo che condanni gli uni ed assolva gli altri accettando il perverso gioco delle parti: nessuno a priori è buono e giusto, ma tutti devono cercare il massimo bene realizzabile, senza prevaricazioni ma anche senza ingenuità. Un pacifismo solo antiamericano farebbe il gioco di Saddam, rischiando di assolvere le sue nefandezze a prezzo della neutralizzazione dell’autorità dell’O.N.U., della disarticolazione dell’unità europea, dell’annullamento dell’Alleanza Atlantica, e favorendo solo la ripresa del terrorismo internazionale o la legittimazione di una crociata islamica contro l’Occidente.

D’altro canto è pur vero che la guerra non garantisce nulla per il futuro, ed anzi esaspera i motivi del conflitto mediorientale accreditando l’idea che lo scontro sia tra il Bene assoluto e il Male assoluto. In ciò la diplomazia vaticana ha dato esempio di grande realismo nel cercare i fattori di dialogo invece che rassegnarsi alla logica delle armi; visto che non si risolvono i problemi reali se non si riconosce prima la verità di una via positiva capace di affrontarli alla radice.

Senza addentrarsi nei meandri di sofisticate analisi di politica internazionale, bisogna allora chiedersi cosa si vuole veramente quando si invoca pace, perché non si tratta solo di disarmare la guerra, ma di far nascere un popolo desideroso di evitarla: non basta condannare le armi, ma occorre credere nella libertà e nella ragione come via per affrontare e risolvere i problemi, senza scandalizzarsi se, in casi limite, occorre legittimare l’uso della forza quando sia oggettivamente l’unico modo per difendere la vita e i diritti di altri uomini.

Sarebbe bello però se in Italia chi è sceso in piazza sotto il segno dell’arcobaleno imparasse a costruire e a custodire la pace superando la litigiosità e le polemiche quotidiane: dimostrerebbe la volontà di costruire una cultura ricca di gesti positivi e di convivenza ordinata! Poiché, paradossalmente, il dilemma non è tra pace e guerra, ma tra verità e menzogna, tra impeto costruttivo e violenza distruttiva, tra la voglia ragionevole di trovare soluzioni credibili e l’arroganza di chi pensa di sapere già come finisce la Storia. Perciò si deve superare la tentazione di appropriarsi unilateralmente del sigillo della pace: è il primo segno che distingue i veri costruttori di pace dai semplici pacifisti ad oltranza.